25/3/2008: "L'errore è aver dato i Giochi ai cinesi" (Il Messaggero)

"L'errore è aver dato i Giochi ai cinesi"

Un errore del Comitato Olimpico internazionale aver assegnato le Olimpiadi a Pechino ma il boicottaggio non è la reazione giusta per lo sport. Lo afferma Pietro Mennea, ex primatista del mondo dei 200 metri con 19”72, prestazione che è tuttora il record europeo, uomo politico e avvocato e soprattutto, medaglia d'oro ai giochi dell'80.

Secondo lei, è stato giusto aver assegnato a Pechino i Giochi?
«No, e lo affermo senza alcun pregiudizio nei confronti della Cina. Il CIO avrebbe dovuto tener conto che in quel Paese c'erano diversi problemi, soprattutto per l'aspetto dei diritti umani».

Da più parti si invoca il boicottaggio. Sarebbe, questa, una soluzione valida?
«Io ho partecipato a tre Olimpiadi boicottate, il '76, l'80 e l'84. Un boicottaggio funziona solo se è totale e finora non è mai accaduto.
A Pechino non ci sarà nessun boicottaggio perché Stati Uniti e Russia hanno già detto che andranno. E poi, non è giusto nei confronti degli atleti. Noi azzurri abbiamo l'esperienza di Mosca '80 quando l'Italia raggiunse il compromesso: si ai Giochi ma senza gli atleti militari. I quali, in seguito, non hanno più gareggiato alle Olimpiadi. Un danno, enorme, solo per loro».

La politica, quindi, deve rimanere fuori dallo sport.
«Dovrebbe, ma è il CIO in primis a fare politica. Nessuno si accorge che molti membri del CIO sono dei politici? Il presidente Rogge pensa solo ai contratti televisivi e agli sponsor. Ritengo sia stata ingiusta, qualche giorno fa, la squalifica del nuotatore serbo Milorad Cavic perché agli Europei ha indossato la maglietta con la scritta Kosovo è Serbia . Non si può bloccare il pensiero di una persona. E il CIO non ricorda che De Coubertin appoggiò i Giochi di Berlino del 1936 dicendo, anche, che la Germania aveva toccato lo Zenith dell'orizzonte sociale? Dobbiamo dire come stanno le cose».

Anche nelle questioni di casa nostra chiuderebbe le porte ai politici dirigenti di organizzazioni sportive?
«E' sempre meglio distinguere: o fai il politico o il dirigente sportivo. Se non lo si fa, il rischio è di confondere tutto, non avere chiarezza e l'opinione pubblica non ti crede. Io eviterei il conflitto d'interessi».

Lei ha vinto l'oro nei 200 a Mosca senza gli americani. Una medaglia dimezzata?
«Assolutamente no. Gli americani li ho sempre battuti prima e dopo quei Giochi: non sono stato l'atleta di una stagione, ma di venti. Quando sei nell'agone olimpico, chi c'è c'è e gli assenti hanno sempre torto. E subito dopo Mosca, proprio a Pechino, ho corso i 200 in 20”03 e Floyd, il miglior sprinter USA del momento, è rimasto lontanissimo da me, a oltre 10 metri».

Si torna a parlare di tregua olimpica, proprio come nell'antica Grecia. Per la questione del Tibet, ma non solo, servirebbe?
«Ma quale tregua olimpica… Mica siamo nell'antichità. Il tempo cambia, non è più il periodo che trecento soldati vincevano una guerra. Oggi i conflitti si combattono in altre maniere. Quello che, invece, non cambia è il Comitato olimpico internazionale, un organismo che non sa adeguarsi».

I dirigenti del CIO non li apprezza, vero?
«Somigliano troppo a una casta. Sarebbe ora di voltare pagina».


Intervista pubblicata su Il Messaggero del 25-3-2008



 
 
 
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