5/8/2007: "La vita è più grande dello sport" (L'Unione Sarda)

"La vita è più grande dello sport"

Tutti lo ricordano così. Vittorioso, al traguardo dei 200 metri. Con l’indice destro alzato, lo sguardo al cielo in segno di ringraziamento, le mascelle serrate, quasi a voler trattenere all’interno del corpo tutto quel dolore, quella fatica che era il suo più grande tesoro. Ore e ore di allenamento quotidiano scandivano un calendario nel quale non esistevano giorni scritti in rosso.
Oggi, a 55 anni, Pietro Mennea ha abbassato quel dito, senza riporlo. Il simbolo dei suoi successi è puntato con altrettanta determinazione verso il mondo degli imbroglioni, degli stregoni, degli incoscienti che infestano lo sport. Quel dito è puntato verso il doping.
Venerdì corso a Sa Illetta, nell’auditorium di Tiscali, Mennea ha presentato il suo secondo libro sull’argomento (Il doping nello sport). La prima di una serie di presentazioni in giro per l’Italia, attraverso le quali divulgare le malefatte del cancro dello sport. Il tumultuoso Tour de France appena concluso ha purtroppo dimostrato anche ai più scettici che lo sport professionistico è gravemente malato. Mennea non nasconde il problema, lo affronta con quella caparbietà che gli consentì di uscire spesso vittorioso dal confronto con i migliori specialisti della velocità, i bianchi dell’Est europeo e della Gran Bretagna, i neri d’America.
«Il doping è come la criminalità organizzata. È impossibile debellarlo. Esisterà sempre».
Perché?
«Per un fatto culturale. La società ha preso una strada rischiosa. Conta apparire, esserci, la meritocrazia non è più premiata. Lo sport non deve essere questo».
Quindi non è un problema soltanto sportivo?
«È una piaga della società civile ».
Lo sport ha responsabilità?
«Purtroppo sì. Ci sono al suo interno lobby che si oppongono alla risoluzione del problema. Dietro la prestazione dell’atleta ci sono tanti soggetti interessati: allenatori, dirigenti, sponsor. E ormai si vuole sempre la prestazione, a tutti i costi».
Che armi servono per combattere il doping?
«Serve una sanzione penale, servono strumenti giuridici dei quali gli organi sportivi non sono dotati, ma lo Stato sì. Polizia giudiziaria,
magistratura possono dare una grossa mano. Un esempio: a Torino 2006 c’è stato un solo caso di positività, per una sostanza stupida. Poi le irruzioni dei carabinieri negli hotel hanno svelato le pratiche della squadra austriaca e sei persone sono state squalificate. Anche Basso e Gibilisco, per lo sport erano puliti. Il procuratore Ettore Torri ha acquisito gli atti dell’Operacion Puerto dalla Spagna e di Oil for Drug dalla Procura di Roma e li ha condannati. Però io contesto che doparsi e tentare di doparsi abbiano la stessa sanzione».
Cosa propone?
«Quattro anni subito, anziché due, a chi si è dopato. Meno a chi ha soltanto tentato».
Come si scoprono i trafficanti del doping?
«Da anni propongo la creazione di un’agenzia investigativa sul doping, nazionale ma anche comunitaria. A Bruxelles qualcuno si è opposto a una mia proposta (che nessuno aveva mai avanzato prima) di legge comunitaria sul doping. La lobby dello sport, appunto».
Però esiste la Wada, l’agenzia mondiale per l’antidoping.
«Non è credibile. Il suo primo finanziatore è il Cio. Possibile che non abbia voce in capitolo. Controllore e controllato coincidono».
Le federazioni fanno controlli a sorpresa.
«A sorpresa? A campione direi. Se li annunciano, che sorpresa è?»
Si può fare sport d’alto livello senza doparsi?
«Io l’ho dimostrato, lottando contro il doping di Stato dell’Est e dell’America. E spesso ho vinto. Conta il sacrificio quotidiano. Costringevo il custode del campo di Barletta ad aprire anche il giorno di Natale. Oggi ci sono i medici specializzati in prestazioni umane, ma bisogna investire sui tecnici specializzati nelle metodologie d’allenamento».
Però una vittoria cambia la vita. Molti non resistono alla tentazione di barare...
«No, non vale mai la pena di doparsi, di compromettere la salute, per un momento di gloria. Le vere medaglie sono quelle che si conquistano fuori dal campo, nella vita. Lì si fa veramente fatica. E poi ricordatevi: la vita è molto più grande dello sport».

Carlo Alberto Melis


Articolo tratto da L'Unione Sarda del 05.08.2007



 
 
 
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