Mennea: “Contro il doping norme di diritto penale”
“Il doping sta all’atletica come la criminalità organizzata sta alla società civile. Siamo dunque di fronte ad una piaga terribile, per di più inflitta ad un mondo che dovrebbe avere in “lealtà” la sua unica parola d’ordine. So che è impossibile curare una volta per tutte questa ferita, credo però che sia possibile limitarne gli effetti”.
Medaglia d’oro nelle Olimpiadi di Mosca nel 1980, detentore del record del mondo dei 200 metri piani dal 1979 al 1996 (con il tempo di 19″72), Pietro Mennea, avvocato, commercialista, per gli italiani è soprattutto lo sprinter che per anni ha saputo contrastare la grandeur di Usa e Urss nelle distanze brevi. Dopo essersi laureato in giurisprudenza, scienze politiche e scienze dell’educazione motoria, l’ex olimpionico esercita la professione di avvocato e di docente universitario di diritto dello sport. Non ha però dimenticato l’atletica, un mondo che gli ha dato tanto e che ora vorrebbe trascinare fuori dai pantani del doping.
Avvocato, qual è la sua ricetta contro il doping?
“Sull’argomento ho scritto un libro – Il doping e l’Unione Europea -, giunto alla seconda edizione. Peraltro, mi sono occupato di questa materia anche da deputato europeo. Così mi sono convinto che non sia possibile estirpare questa penosa abitudine. Ritengo però che si possa rallentare questa dinamica criminale responsabilizzando atleti, medici, allenatori e federazioni”.
Lei dice che le Federazioni sono troppo assenti?
“No. Dico che il Comitato Olimpico (Cio) e le altre federazioni non sono in grado di offrire una giustizia giusta. Per porre riparo ad una situazione che altrimenti rischia di incancrenirsi ulteriormente occorre dotarsi – lo devono fare tutte le nazioni che aderiscono al Cio e alla Comunità europea – di norme ordinarie. Insomma, a gestire queste vicende devono essere i tribunali che si occupano di diritto penale e non quelli “privati” di ogni singola federazione. I regolamenti sportivi mostrano lacune evidenti”.
Ma non sarebbe eccessivo?
“Perché? Le norme ordinarie funzionano. Basta valutare quanto è successo nel corso delle Olimpiadi invernali di Torino, quando due atleti austriaci (Wolfgang Perner e Wolfgang Rottmann ndr.) per non sottoporsi ai test-antidoping – all’indomani del blitz dei carabinieri – hanno lasciato in fretta e furia il ritiro di San Sicario per ritornare precipitosamente in Austria. Questo dimostra che se a occuparsi di doping sono le forze dell’ordine gli atleti si sentono incentivati al rispetto norme”.
Il doping, una piaga che viene da lontano
“Anche ai miei tempi gli atleti si dopavano. Nei paesi comunisti c’era il doping di Stato, mentre nei paesi occidentali vigeva il sistema liberale: bastava entrare in qualunque farmacia con un semplice certificato medico e comprare il necessario. In Italia le cose stavano nel mezzo: c’erano atleti che assumevano sostanze proibite, mentre altri, compreso il sottoscritto – eppure ho partecipato a 5 olimpiadi – non ne hanno mai fatto uso”.
Lei ha affrontato Valery Borzov: un fuoriclasse o un dopato?
“Prima della caduta del muro di Berlino si diceva che Borzov fosse un frutto dell’atletica di Stato, “costruito” in laboratorio dal sistema sovietico. Qualche volta Valery mi ha battuto (quando ero un po’ giù di forma), altre volte ho vinto io. Credo che lui fosse un atleta pulito. Non ho mai pensato che fosse un “prodotto” di laboratorio, i sovietici esaltavano le sue performance per magnificare il sistema comunista. Però, come mai i sovietici non hanno mai più costruito atleti di quel calibro. Per me, Valery era un vero e proprio talento”.
Non solo calcio. Nel 2006 con sua moglie ha creato la Fondazione Pietro Mennea Onlus. Di che cosa si occupa?
“Ci occupiamo di adozione di bambini a distanza. Aiutiamo i bambini in difficoltà della Fondazione Domus de Luna. Aiutiamo gli anziani. Stiamo costruendo una scuola in Africa. Doniamo libri a molte biblioteche e dotiamo di una borsa di studio i giovani più bisognosi. Diamo sostegno a scuole di formazione impegnate nello sport e ad una associazione che si occupa di disabili. Diamo una mano alla Fondazione “Operation Smile”. Abbiamo acquistato una sede per la biblioteca “Salvatore Mennea””.
Il mondo dell’atletica era piuttosto spartano: niente sesso?
“Parlo per me. Macché clausura: anche ai miei tempi ci sapevamo divertire. Certo niente veline, niente tivù. La pubblicità non ci piaceva. Oggi si fanno le cose in un modo piuttosto discutibile. E quasi a tutti i costi: noi puntavamo più alla sostanza che non ad apparire. Insomma, mi difendevo anch’io”.
Paolo Salvatore Orru
Articolo tratto dal portale Tiscali.sport