“Ecco la mia corsa contro il doping”
Si impegna contro il doping con lo stesso piglio di quando affrontava i rivali più prestigiosi. Del resto, Pietro Mennea non ha mai tentennato, né quando si batteva contro i mostri dell’atletica, né adesso che – per chissà quali alchimie – lo si sta tenendo lontano dalle briglie di comando di un mondo, quello dello sport, di cui conosce ogni recondita essenza. “Combatto un male sociale che si può estirpare”, spiega l’ex campione olimpionico dei 200 metri.
Snidare, combattere, processare e condannare chi per migliorare le prestazioni di un atleta impiega mezzi illeciti, questa è la missione che si è imposto. Per ottenere questo risultato non propone ricette miracolistiche ma solo tanto impegno. “Da quasi nove anni – ogni volta che mi è possibile – ad ogni convegno e nei miei libri – spiego che contro gli stimolanti è necessario applicare norme di diritto penale”. Una medicina amara, ma necessaria. Perché l’ex velocista, oggi docente universitario di diritto a Chieti, sa quanto accade nel chiuso degli spogliatoi e quali sono gli interessi in gioco. “Sono in molti a temere i cambiamenti radicali. I più conservatori sono gli atleti, ma anche chi – federazioni, società, medici, manager, allenatori e sponsor – teme che con il mutamento del quadro giuridico si riducano anche gli incassi”.
Una verità inconfutabile, vergognosa, drammatica, che da decenni si sta sviluppando come un cancro sotto gli occhi di tutti. La formula del doping è tutta qui, racchiusa in un grumo di parole, che spesso fanno a pugni con i principi del barone Pierre de Coubertin: “Le vittorie di una atleta – commenta Mennea – , fanno dannatamente gola a chi dalle loro prestazioni trae i propri profitti”. Così si allevano atleti in batteria, come polli. Per poi abbandonarli, una volta spolpati, al loro destino. “Ho costruito la mia carriera con 20 anni di allenamenti. Qualcuno sa dirmi in quale disciplina sportiva ci sono, oggi, atleti così longevi? Vorrà pur dire qualcosa che non ho mai sofferto di strappi muscolari?”.
Mennea conosce già le risposte. Per questo è convinto che per battere “la piaga” sia necessario mettere su tante task force di giuristi, atleti, dirigenti pronti a tutto pur di trovare, insieme, la quadratura del cerchio. “Qualche risultato si vede già: in Francia, Italia, Germania, Danimarca, Spagna e Austria sono in corso iter parlamentari per l’approvazione di norme penali da applicare contro chi con mezzi fraudolenti adultera il corpo e le prestazioni degli atleti”, commenta. In sostanza, ritiene giunto il momento tracciare le linee portanti di un decalogo che combatta alla radice il problema. “I giovani devono tornare ad allenarsi come facevo io”. I giovani, il suo cruccio: “Sappiano che si può vincere anche senza trucchi. Per riuscirci mi allenavo 350 giorni l’anno. Non devono cedere alla cultura del successo a tutti i costi. Altrimenti si dopano anche il golfisti”.
Per superare gli avversari è necessario imporsi una disciplina ferrea e ridurre il numero delle gare. Una soluzione che preoccupa tantissimi, perché una volta approvate le nuove regole con la stessa velocità di uno schiocco di dita diminuirebbero vertiginosamente anche i guadagni dell’atleta e, quindi, di tutto il suo entourage. “Il Tour de France insegna – commenta l’ex azzurro – che non si può reggere alla fatica se non ci sono adeguati supporti energetici: i corridori devono correre di meno”. Un campione del pedale come Felice Gimondi correva solo nelle classiche e per non più di 3 mila chilometri l’anno, oggi un ciclista nello stesso arco di tempo di chilometri può farne anche 20 mila.
Stranamente, per Mennea risolvere il problema del doping nel calcio è meno complesso di quanto appaia. “Sono stato presidente della Salernitana quando ad allenare la squadra era Delio Rossi, che nel suo ambiente è considerato un sergente di ferro. Ebbene, a me quegli allenamenti mi sono sembrati fin troppo blandi. I calciatori per dare di più devono solo esercitarsi di più”.
Pietro Mennea ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell’atletica. Nel corso della sua ventennale carriera ha partecipato a cinque olimpiadi, ha stabilito il record del mondo dei 200 metri piani (con il tempo di 19″72), ha preso cinque lauree, fa l’avvocato, insegna all’università ed è stato europarlamentare. Contro il doping ha scritto due libri: Il Doping nell’Unione Europea – giunto alla seconda edizione -, e Il doping nello Sport.
Paolo Salvatore Orrù
Articolo tratto da Tiscali.sport