Non avrei dato le Olimpiadi alla Cina
Milano, 15 marzo 2008 – Una carriera ventennale fatta di successi e impegno dentro e fuori le piste di atletica. E’ un Pietro Mennea a tutto campo, quello seduto in cattedra all’Università Bicocca come ospite d’onore del Master di II livello in “Management e gestione dello sport”.
L’ex primatista dei 200 metri piani parla di sè, delle prossime Olimpiadi ma anche e soprattuto di doping – “una piaga, non solo sportiva, ma anche sociale” – e della necessità di combatterlo (“Gli atleti devono credere in se stessi e nelle loro potenzialità, solo così potranno veramente essere ricordati, ma soprattutto rispettati”). E annuncia la prossima uscita del suo nuovo libro ‘La storia del doping’ (edito da ‘Delta 3′), i cui ricavati saranno dati in donazione alla fondazione che porta il suo nome.
Lei è un ex atleta e anche politico, avvocato, docente universitario, scrittore e commercialista: SuperMennea o tanti sacrifici?
“Tanti, tantissimi sacrifici. Ho avuto una carriera longeva, per vent’anni mi sono allenato con costanza tutti i giorni, dalle cinque alle sei ore. Credo di essere l’atleta che si è allenato di più in assoluto. Inoltre sono fiero di poter affermare che in quasi vent’anni di sacrifici non mi sono mai strappato. Quando stabilii il record il mio allenatore era preoccupato perché pensava che la cosa mi rendesse succube del primato, invece non fu proprio così, perché poi ho continuato a scrivere belle pagine dell’atletica”.
Lei è un personaggio poliedrico, eccelso in tutto quello con cui si è misurato. Qual è stata la più grande vittoria di Pietro Mennea?
Senza ombra di dubbio l’oro a Mosca e ovviamente il record nei 200 metri del 1979. Anche se devo ammettere di essere un po’ ‘sfigato’: in tutta la mia carriera cinque Olimpiadi e una sola medaglia d’oro. Riguardandomi nelle riprese di allora capisco che nelle mie gambe e soprattutto nella mia testa c’era l’incoscienza di un giovane.
“Il mio record viene considerato ancora oggi la misura più autentica. Ovviamente rendo onore a Michael Johnson perché riuscì dopo diciassette anni a battere il mio record.
Quando io stabilii il primato nei 200 a Città del Messico, ricordo che il giorno successivo molti screditarono il mio tempo e scommisero che non sarebbe durato più di cinque mesi. Durò invece per ben 17 anni. Un particolare divertente che risale a circa otto o nove anni fa: ricordo che per incentivare la competizione gli organizzatori dei giochi mise in palio una Ferrari perché credevano che avrebbe vinto Johnson. Io chiesi: se però non riesce nell’impresa, la macchina è mia? La risposta fu negativa. Allora dissi che mi accontentavo anche di una ruota e la risposta fu: ‘Non possiamo Pietro, con tre ruote non funzionerebbe più’. Morale della storia, non ricevetti nemmeno un portachiavi con un cavallino rosso!”
Doping. E chi non ne parla ormai! Lei ha trattato l’argomento anche prima, ma non si considera un’eccezione?
“Ad Atene hanno dopato pure i cavalli! E purtroppo la cosa brutta è che non è una barzelletta come potrebbe sembrare, tre cavalli risultarono positivi ai test! Io un’eccezione? No, perché sono fiducioso nei nuovi atleti italiani e soprattutto perché spero che un giorno questa piaga venga debellata”.
Niente Olimpiadi per Oscar Pistorius: come valuta la situazione di un atleta invalido reputato avvantaggiato in quanto il gesto atletico non deve essere influenzato da elementi tecnologici?
“Io sono pro Pistorius, credo che stiano rubando a un giovane un sogno. Credo che si dovrebbe fare qualcosa di più per questo atleta, non normo dotato. A mio avviso si dovrebbe trovare una soluzione al più presto, perché credo che situazioni simili si ripresenteranno in futuro”.
Le Olimpiadi di Pechino sono state soprannominate i giochi del silenzio: per andare a Pechino gli atleti della nazionale inglese dovranno sottoscrivere un documento che li obbliga al silenzio sui temi politici. Reputa corretta questa clausola? Secondo lei bisogna o no boicottare i giochi cinesi?
“L’organizzazione dei giochi olimpici è difficilissima. La Cina ha fatto enormi sacrifici e la sua più grande vittoria è la credibilità. No, non boicotterei le Olimpiadi di Pechino, ma semplicemente non le avrei date alla Cina, nel senso che avrei aspettato ancora qualche anno, magari le prossime. Comunque sono dell’opinione che lo sport e la politica debbano restare due realtà separate. Gli atleti della nazionale inglese si impegneranno nelle proprie specialità, non credo che andranno ai Giochi cinesi per fare conferenze politiche”.
In riferimento al concetto di sport e politica: lei visse in prima persona il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca. Vuole raccontarci come visse la situazione nel 1980? Lei era favorevole al boicottaggio?
“Sono stati momenti di grande incertezza. Ma no, non ero favorevole al boicottaggio, come ho già detto che non lo sarei per le prossime Olimpiadi. Io dopo Mosca mi sono ritirato perché ero stanco mentalmente, ma sono tornato per cercare di andare oltre, per far capire a me stesso che Pietro Mennea ce la poteva ancora fare”.
Cresce la pressione intorno alle performance di Andrew Howe. L’atleta reatino gareggerà nel salto in lungo, in cui ha vinto l’argento ai mondiali di Osaka nel 2007, ma prenderà parte anche alla gara dei 200 metri. Lei, che è il mito indiscusso di questa disciplina, che risultato prevede? Howe riuscirà a portare a casa una medaglia in questa specialità?
“Howe è uno dei più grandi talenti dello sport italiano, destinato a rappresentare il suo paese. Ho letto che Howe dice che si sta allenando come facevo io, ma io gli dico che per essere oggi un campione deve allenarsi di più. Non posso prevedere se riceverà o meno una medaglia, anche se lo spero per lui, l’unica cosa che posso dirgli è che se deciderà di dedicarsi alla velocità troverà molta più concorrenza che nel salto in lungo”.
Intervista di Alessandra Portesani pubblicata sul portale Quotidiano.net il 15-3-2008