“Un fisico bestiale”
Bisognerebbe dargli un’aggiustata a questo talento naturale. Asafa Powell è così bello da vedere, così possente, così bravo a far sembrare facili i record e poi così spaventato quando è ora di vincere una medaglia.
Ma come, io che ero uno sgorbio, piccolo e magro anche per gli standard degli Anni Ottanta, ho vinto le Olimpiadi e lui no? Avrebbe dovuto avere già dieci medaglie nel cassetto e per prendersele in futuro deve cambiare qualcosa.
Dettagli, uno che ha fatto il record del mondo fermando il cronometro a 9”74, in batteria e mollando pure sul finale, ha un potenziale incredibile, è ovvio. Non deve stravolgere il suo modo di fare. Io poi tifo per lui, lo preferisco a Tyson Gay. Powell è un bell’atleta da vedere, però l’americano è più determinato, cattivo, per stargli dietro bisogna aggiungere qualcosa. Non solo di testa, quella salta agli occhi dopo un Mondiale perso così, ma non è che si arriva alla perfezione solo con la psicologia. La testa segue il fisico, più forte sei e più sicuro sei. A Osaka non ha retto i 4 turni, non sapeva gestirli. Se corri i 9”74 a Rieti, non puoi finire in 9”96 una finale mondiale. Non ha senso, sembrava avesse il freno a mano tirato. Gli ho sentito dire: «Stavolta ho seguito i consigli del mio allenatore». Ma che vuol dire? Un atleta dovrebbe seguirli sempre. Gli suggerirei di correre un po’ di 200 metri, lo farebbero diventare più resistente e si sentirebbe più capace, sono piccoli accorgimenti che lo renderebbero unico. Non è il solo con quel fisico in Giamaica, lui ha doti pazzesche che dovrebbe curare di più. Ne può vincere di medaglie, neanche lui sa quanto gli ori valgono più dei record. Dieci medaglie e 10 record? Non c’è partita.
Vederlo fare quel tempo a Rieti, su una pista che conosco così bene è stato emozionante. Non era proprio la stessa quando ci correvo io, ma ho ripensato al record sui 300 metri, Giovannelli, il presidente del meeting, mi regalò un orologio. Non so dove sia finito, mia moglie se lo ricorda ma io da quel giorno non l’ho visto più. Sempre a Rieti ho corso i 100 in 10”02, è un posto perfetto, c’è quel venticello che ti accompagna, l’ideale. All’estero dicono che la pista è più corta, non so perché nessuno crede a quello che viene fatto in Italia. Ci portiamo questa nomea: se vinciamo qualcosa di importante, abbiamo truffato. Chissà come mai funziona così.
Pietro Mennea
Articolo tratto da La Stampa del 10 settembre 2007