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Con loro si è perpetuata la cultura del doping

Ramzi e Rebellin positivi, Mennea:
“Con loro si è perpetuata la cultura del doping”

Gli atleti perbene, se vorranno vedere riconosciuti i loro meriti, dovranno battersi senza esclusione di colpi contro chi si arrampica sul podio più alto utilizzando le scorciatoie della chimica. Le controanalisi effettuate sui campioni B di Rashid Ramzi e Davide Rebellin, vincitori rispettivamente di un oro nei 1.500 metri e di un argento nella prova in linea nelle ultime Olimpiadi di Pechino, stanno lì a dimostrare che cultura del doping – nei loro prelievi è stata confermata la presenza di Cera, Epo di terza generazione – sta ancora devastando il mondo dello sport.
Pietro Mennea – uno dei più grandi velocisti di tutti i tempi – sta combattendo da tempo una lunga battaglia contro chi per vincere ricorre non al lavoro di tutti i giorni ma ai ritrovati della scienza. “In questo mondo succede di tutto, anche che alle Olimpiadi venga dato tanto spazio a sport che sono in odore di doping. Evidentemente queste discipline, anche le meno note, garantiscono attività commerciali non indifferenti”.
Le critiche che Mennea rivolge al sistema sono durissime. “Le federazioni, i comitati olimpici, voltano le spalle quando hanno a che fare con atleti sospetti. Finché sei fatto e non ti fai trovare tutto va per il meglio. Se invece ti fai scoprire vieni emarginato. Poi dopo qualche tempo ti riaprono le porte. E solo se fai il bis vieni allontanato definitivamente dal sistema”.
Gli sponsor oliano il sistema: sono loro che danno ad un atleta, se raggiunge i risultati pattuiti, la possibilità di vivere di solo sport.  Risultati che si verificano un po’ più facilmente quando gli atleti usano sostanze dopanti. “Oggi si viaggia così, quei casi di positività stanno a dimostrare che i controlli durante l’evento Olimpico sono sostanzialmente inutili. Durante i Giochi Olimpici sono stati effettuati 4870 controlli, gli atleti che hanno partecipato alle Olimpiadi di Pechino sono stati, invece, 12.000, di questi solo 9 atleti e 6 cavalli sono trovati dopati. Il numero è salito fino a 15 con i riesami”.
La medicina che l’ex olimpionico propone è nota e il concetto è semplice. Forse troppo semplice per chi regge le sorti dello sport mondiale che per  conservare lo scranno prima chiude gli occhi poi dice di essere cieco.  “Bisogna levare la competenza sull’antidoping agli organismi sportivi, costituire tribunali di giustizia ordinaria – dice l’avvocato Mennea – perché oggi la promulgazione di una norma penale a livello comunitario significa avere una norma uguale in 27 Paesi. E’ necessario predisporre una struttura autonoma che possa assumersi più poteri di quanto possano le federazioni nazionali”. Solo così si potranno combattere i condizionamenti e i clintelismi, il brodo di coltura del doping.
Il doping c’è sempre stato, i primi ad utilizzarlo sono stati gli atleti dell’Est. “Il doping di oggi è piuttosto sofisticato. Spesso in mano alla criminalità organizzata. Soprattutto fa parte della sovrastruttura di quegli atleti che vogliono dimostrare a sé stessi e al condominio dove abitano di saper correre con qualche centesimo in meno di altri. E’ un problema culturale. Per quanto mi riguarda non sono negli organismi che contano, per questo oggi posso solo dare qualche consiglio”.

Paolo Salvatore Orrù

Articolo pubblicato il 10.07.2009 sul portale Tiscali:sport

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